Rendiamo visibili gli invisibili

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Rendiamo visibili gli invisibili

Rendiamo visibili gli invisibili

 

Di chi è la scuola? Di chi ne usufruisce: studenti, insegnanti, presidi, bidelli… Di chi è la sanità? Stessa cosa, di chi se ne avvale: pazienti, medici, infermieri, volontari, operatori… Di chi è il lavoro? Come sopra, di chi lo svolge: operai, impiegati, dirigenti, tecnici, ricercatori… Potremmo andare avanti a lungo nel declinare la composizione
dell’architettura sociale ed economica di un Paese. Domanda: quante volte vediamo questi soggetti comparire nei telegiornali e nei programmi di approfondimento per parlare di scuola, sanità, lavoro…? Se dovessimo azzardare una statistica scopriremmo che ad essi viene dedicato meno di un centesimo dello spazio concesso a chi, nel governo, nella maggioranza e nell’opposizione interviene su questi temi.
Perché l’informazione non da prioritariamente spazio ai soggetti reali? Forse perché non fanno ascolto, o perché non favoriscono la tiratura. O forse perché se l’informazione, a cominciare dal servizio pubblico, è da decenni sotto il controllo della politica viene da sé che è la politica stessa a pretendere visibilità.
Questa è una delle tante motivazioni che hanno spinto Articolo21, insieme a molte altre associazioni a promuovere una battaglia per rimuovere il condizionamento di governo e partiti dalla televisione pubblica, per restituire all’informazione quella libertà e quell’autonomia decretata dalla Costituzione ma sconfessata da tutte le graduatorie internazionali.
Per colpa di un conflitto di interessi mai risolto, editti mai ripudiati, bavagli mai rimossi, giornalisti mai reintegrati, cronisti mai equamente pagati.
Beppe Grillo vieta agli esponenti del suo Movimento di entrare nei talk show? E se invece si chiedesse ai talk show di aprire più porte agli elettori (e ai loro problemi quotidiani) e meno agli eletti? E di uscire dai confini angusti degli studi televisivi, delle passerelle d’opinione, dei sondaggi contrastanti e delle risse a buon mercato (a parte le poche lodevoli eccezioni) per privilegiare inchieste che mirino a svelare la realtà dei fatti e a mettere in luce avvenimenti di cui si ignora
l’esistenza?
Qualche anno fa alcune organizzazioni come la Tavola della Pace, Caterpillar (Radio2), Articolo21, Libera Informazione, Fnsi e Usigrai lanciarono la campagna “Ti illumino di più” proponendo di portare al centro dell’attenzione mediatica i temi sociali e civili cancellati dal video perché non graditi ad alcune oligarchie.
E’ ciò che abbiamo ribadito nella conferenza programmatica di Articolo21 ad Acquasparta: siamo stanchi di coloro che vogliono chiudere spazi di approfondimento e di inchiesta e cercano di imbrigliare il dissenso, tacitare le voci non omologate, imporre bavagli per legge, perfino nei confronti della rete. Dobbiamo invece aggiungere voci, raccontare storie, cogliere la complessità dei fenomeni e svelarne le contraddizioni, penetrare nelle pieghe della società civile, rendere visibili gli invisibili.
* Pubblicato su “Il Manifesto”

da Il Manifesto - Di chi è la scuola? Di chi ne usufruisce: studenti, insegnanti, presidi, bidelli… Di chi è la sanità? Stessa cosa, di chi se ne avvale: pazienti, medici, infermieri, volontari, operatori… Di chi è il lavoro? Come sopra, di chi lo svolge: operai, impiegati, dirigenti, tecnici, ricercatori… Potremmo andare avanti a lungo nel declinare la composizione dell’architettura sociale ed economica di un Paese. Domanda: quante volte vediamo questi soggetti comparire nei telegiornali e nei programmi di approfondimento per parlare di scuola, sanità, lavoro…? Se dovessimo azzardare una statistica scopriremmo che ad essi viene dedicato meno di un centesimo dello spazio concesso a chi, nel governo, nella maggioranza e nell’opposizione interviene su questi temi.

Perché l’informazione non da prioritariamente spazio ai soggetti reali? Forse perché non fanno ascolto, o perché non favoriscono la tiratura. O forse perché se l’informazione, a cominciare dal servizio pubblico, è da decenni sotto il controllo della politica viene da sé che è la politica stessa a pretendere visibilità.

Questa è una delle tante motivazioni che hanno spinto Articolo21, insieme a molte altre associazioni a promuovere una battaglia per rimuovere il condizionamento di governo e partiti dalla televisione pubblica, per restituire all’informazione quella libertà e quell’autonomia decretata dalla Costituzione ma sconfessata da tutte le graduatorie internazionali.

Per colpa di un conflitto di interessi mai risolto, editti mai ripudiati, bavagli mai rimossi, giornalisti mai reintegrati, cronisti mai equamente pagati. Beppe Grillo vieta agli esponenti del suo Movimento di entrare nei talk show? E se invece si chiedesse ai talk show di aprire più porte agli elettori (e ai loro problemi quotidiani) e meno agli eletti? E di uscire dai confini angusti degli studi televisivi, delle passerelle d’opinione, dei sondaggi contrastanti e delle risse a buon mercato (a parte le poche lodevoli eccezioni) per privilegiare inchieste che mirino a svelare la realtà dei fatti e a mettere in luce avvenimenti di cui si ignora l’esistenza?

Qualche anno fa alcune organizzazioni come la Tavola della Pace, Caterpillar (Radio2), Articolo21, Libera Informazione, Fnsi e Usigrai lanciarono la campagna “Ti illumino di più” proponendo di portare al centro dell’attenzione mediatica i temi sociali e civili cancellati dal video perché non graditi ad alcune oligarchie.

E’ ciò che abbiamo ribadito nella conferenza programmatica di Articolo21 ad Acquasparta: siamo stanchi di coloro che vogliono chiudere spazi di approfondimento e di inchiesta e cercano di imbrigliare il dissenso, tacitare le voci non omologate, imporre bavagli per legge, perfino nei confronti della rete. Dobbiamo invece aggiungere voci, raccontare storie, cogliere la complessità dei fenomeni e svelarne le contraddizioni, penetrare nelle pieghe della società civile, rendere visibili gli invisibili.

* Pubblicato su “Il Manifesto” del 10/11/2012

 

11/11/2012
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